Un uomo in crisi.
Ma "crisi" va letta nel senso originario del termine, quello cioè della svolta decisiva. Una crisi nel corso di una malattia è il momento in cui essa viene a risolversi, tanto in senso favorevole, quanto in senso sfavorevole. Una crisi è l'avvio del cambiamento.
Claudio Lolli, l'uomo in crisi della copertina, è il poeta del disadattamento militante, della ribellione al conformismo piccolo borghese
che soffoca nelle consuetudini domestiche ogni possibile conato di autonomia ed
espelle ciò che non passa al vaglio comparato della corretta omologazione.
Bisogna andare incontro a tutti quelli che oggi come noi,
voglion rischiare d'esser distrutti
piuttosto di ritrovarsi poi, in una famiglia senza persone,
come tra i muri di una prigione.
(la giacca)
La distruzione, anche la auto-distruzione se del caso – è preferibile
alla galera dell’omologazione, alla follia dei rapporti deviati dal nulla della
società dei consumi che coordina e regola severa anche i tassi amorosi e le indulgenze
sentimentali.
Il disagio che sgorga, ora furioso, ora triste dai suoi
versi, non rimane però fenomeno depressivo individuale, di macerazione solipsistica
e rinunciataria, ma nella sua poetica invece, diviene forma universale del contro-sentire,
di una alternativa possibile, identitaria e di corpo, fatta di sentimenti forti
quanto autentici e incondizionati, di solidarietà, di sobrio silenzio rispetto alla
vita e di alto sentire estetico e morale.
Lolli va oltre l’assunto deandreiano dell’autenticità
esistenziale riposta nella fascia meno esposta della società, (dai diamanti non nasce niente/dal letame
nascono i fior); Lolli traccia una linea di demarcazione fra la vecchia
piccola borghesia rancida e ipocrita e la dimensione esistenziale di chi in quelle
galere, la famiglia, i compleanni con le candele e lo spumante dell’anno scorso,
la naja, lo squallore di una vita vissuta
a ore, non ci resiste, travolto dalla noia prima che dalla nausea e che,
pur di sottrarsi alla nientificazione morale e esistenziale della società
borghese, pur di sottrarsi a una vita di compromessi e di paure, sceglie
piuttosto la morte: così il soldato di “Morire di leva” così in “Quando
la morte avrà” :
Quando la morte avrà
sconfitto il compromesso
cui la meschinità
ti aveva condannato
e il lampo dei tuoi occhi
si mostrerà contento
di vivere da uomo
sconfitto il compromesso
cui la meschinità
ti aveva condannato
e il lampo dei tuoi occhi
si mostrerà contento
di vivere da uomo
almeno un momento.
Si vive da uomo solamente nel momento della morte, come in “Aspettando
Godot”,come in “Quanto amore”, dove l’inutile
ricerca dell’amore conduce, come unica via, alla rinuncia ad una esistenza fatta
di attese vane e di illusioni fantasmagoriche, al rifiuto di continuare a
fingere di essere vivi:
Lo sai che siamo tutti morti
e non ce ne siamo neanche accorti
e continuiamo a dire: e così sia.
dice in “Io ti racconto” e spiega:
Io ti racconto la pazzia
che si compra in chiesa o in drogheria,
un po’ di vino un po’ di religione.
Con Lolli il disagio, “l’angoscia
metropolitana”, “quella calda intimità
col nulla” che la nascita, l’essere gettati a vivere, il geworfenheit
direbbe Hidegger, interrompe, (Il
tempo dell’illusione), il disadattamento
esce dalla sfera singolare del narcisismo suicidario e diviene invece militante.
Il rifiuto della omologazione agli standard piccolo borghesi
che la società impone attraverso i suoi agenti essenziali - la famiglia, la
scuola, la leva, la fabbrica, la chiesa -, diviene in Lolli una categoria dello spirito depositaria di
altra ottica, di altri valori, di altra dimensione esistenziale: “Quelli
come noi” dice, non più “io”,
ma noi, chi non si riconosce nella
società piccolo borghese, e ne rigetta i canoni obbligatori dei lustrini
televisivi, delle sagrestie che profumano di morte (Prima comunione), del profitto sdoganato a valore assoluto e della
crescita del fatturato come unico parametro esistenziale, diviene nella sua
poetica soggetto collettivo appartato, nell’ombra, separato da un muro di noia
e di disattenzione dal mondo circostante, dalla spazzatura che rimpiazza ogni sentimento
e si sostituisce all’uomo.
L’IO quindi
diviene “noi: “quelli come noi, che non valgono niente” - ai fini commerciali,
fine ultimo e unico di quella concezione borghese e finanche dei rapporti umani,
e quel noi assume identità sociale definita e capacità reattiva
dirompente, rivoluzionaria, forte della potenza di idee grandi, sogni, passioni
e capacità di immaginare orizzonti meno angusti di quelli del denaro e del
potere.
Quelli come noi
che son venuti su un po’
strani
e han la testa piena di
musica di arte e grandi amori
e covano le loro solitudini
in segreto, quasi con gelosia
tra i vinti dalla forza
della vita
(…)
quelli come noi
diciamo che valgono molto
diciamo che valgono molto
e aiuteranno gli altri a
dare un calcio al mondo
e prenderanno a pugni il Re e lo Stato
calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato.
“Nessun uomo è un uomo qualunque”, decreta coerentemente trent’anni dopo e la ricchezza interiore di ciascuno conserva tutta la sacralità del “noi” collettivo in cui l’individuo si riconosce con i suoi errori e le sue angosce, i suoi amori:
e prenderanno a pugni il Re e lo Stato
calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato.
“Nessun uomo è un uomo qualunque”, decreta coerentemente trent’anni dopo e la ricchezza interiore di ciascuno conserva tutta la sacralità del “noi” collettivo in cui l’individuo si riconosce con i suoi errori e le sue angosce, i suoi amori:
Nessun uomo è un uomo
qualunque
la sua valigia può essere piena
di un pigiama portato in galera
di una giacca voltata due volte
libertà e povertà in una sera.
la sua valigia può essere piena
di un pigiama portato in galera
di una giacca voltata due volte
libertà e povertà in una sera.
La sua poetica feroce e insieme dolce, la poetica del rifiuto, della ribellione, della malinconia del grigiore di milioni di esistenze schiacciate dalla solitudine come una formica da un enorme scarpone (Vent’anni),diviene sogno, fuga, rimorso per le vite mal spese di chi, decretato perdente dai vincitori della classe borghese, sarà sempre “Dalla parte del torto”.
E
quando vi siederete dalla parte del torto
perché ogni altro posto sarà già stato occupato
Venitemi a svegliare e bussate a perdifiato
per voi ci sarà sempre il mio cuore incantato
forse malinconico ma mai rassegnato
una carezza alla luna alle stelle
e un pallone sul prato.
perché ogni altro posto sarà già stato occupato
Venitemi a svegliare e bussate a perdifiato
per voi ci sarà sempre il mio cuore incantato
forse malinconico ma mai rassegnato
una carezza alla luna alle stelle
e un pallone sul prato.
Quella vecchia gente di casa nostra, quella delle piccole cose,
dei piccoli riti crepuscolari e reazionari, delle buone maniere affettate e
ipocrite, quella vecchia piccola borghesia - come auspicato da Lolli
nel ‘72 - adesso il vento l’ha spazzata via quasi del tutto, insieme alla classe operaia.
A farlo, però è stato il vento gelato della globalizzazione, non l’emancipazione dal giogo del profitto e al suo posto non è venuta la consapevolezza, il sentimento autentico, la libertà di amore, la solidarietà, la libertà di assaporare la vita.
No. Piccola borghesia e classe operaia sono state rimpiazzate da un sottoproletariato cinico e superstizioso che continua a perdere coscienza di sé, non solo come classe, ma anche come singolo individuo senziente, avvezzato nella massa a ridurre i propri sentimenti reattivi alle sole quattro opzioni predisposte - like, ridere, piangere o rabbia - da social network che, ben più delle sagrestie di Lolli, puzzano di morto lontano un miglio, un anno luce, un parsec, mentre il controllo della vita di miliardi di persone, inconsapevoli come polli di batteria (Gaber), sta saldamente nelle mani di poche eteree impalpabili fantozzianamente megagalattiche corporescion-ss.
A farlo, però è stato il vento gelato della globalizzazione, non l’emancipazione dal giogo del profitto e al suo posto non è venuta la consapevolezza, il sentimento autentico, la libertà di amore, la solidarietà, la libertà di assaporare la vita.
No. Piccola borghesia e classe operaia sono state rimpiazzate da un sottoproletariato cinico e superstizioso che continua a perdere coscienza di sé, non solo come classe, ma anche come singolo individuo senziente, avvezzato nella massa a ridurre i propri sentimenti reattivi alle sole quattro opzioni predisposte - like, ridere, piangere o rabbia - da social network che, ben più delle sagrestie di Lolli, puzzano di morto lontano un miglio, un anno luce, un parsec, mentre il controllo della vita di miliardi di persone, inconsapevoli come polli di batteria (Gaber), sta saldamente nelle mani di poche eteree impalpabili fantozzianamente megagalattiche corporescion-ss.
“In questo mondo io sono
un prigioniero politico”, dichiara Lolli nel suo ultimo disco del 2017 e tali
ci sentiamo anche noi. Ci turiamo quotidianamente le orecchie, assordati da torme di aspiranti tronisti, odiatori
semiprofessionali, cultori del grande fratello e fanculeggiatori compulsivi in
mezzo ai quali continuiamo a dover essere invischiati per il mistero dell’esistere
e dai quali ci separeremmo volentieri -,
naturalmente del tutto consapevoli di essere noi, ovviamente noi, orgogliosamente, dalla parte del torto.
Andiamo allora a bussare a perdifiato alla porta di
Claudio, svegliamo il suo cuore incantato, forse malinconico ma mai rassegnato
…
Pensa: giocherei anche io a quel pallone sul prato.
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