Il percorso è cominciato tempo addietro, quando tre scrittori lucani, Costantino Dilillo, Pasquale Doria e Peppe Lomonaco, decisero di pubblicare insieme “Partenze da fermo” per raccogliere in un solo volume i loro racconti. Qualche tempo dopo, visto il successo dell’impresa, raccolsero in un secondo volume le loro testimonianze narrative intorno al tema del lavoro. Questa ripetuta esperienza di coralità narrativa, lasciando intatte le prerogative caratteristiche di ciascuno degli autori, è diventata una vera e propria linea del percorso da essi intrapresa e che può essere interpretata in vari modi e con diverse chiavi.
La coralità però sembra essere la scelta più interessante di questo trio nel panorama editoriale e in quello più specificamente letterario.
La coralità è costituita dalla presenza di voci variegate e diverse che intonano lo stesso canto. Partecipano alla stessa armonia che viene percepita dall’ascoltatore-lettore nel suo unicum-molteplice.
Le esperienze fin qui maturate assomigliavano molto alla tecnica del canto “a cappella”, fatto di sole voci che integrano in sé anche gli strumenti musicali. Il passo successivo, quello attuale, del percorso intrapreso dai tre escursionisti narratori, pur non discostandosi dal primitivo schema, sembra imbroccare una nuova via: quella del jazz !
In questo volume, intorno al tema delle “Camere Circondariali” la prima sensazione che si registra è simile a quelle che si possono evidenziare ascoltando un concerto jazzistico.
Un quintetto, variamente assortito, esegue il brano tematico, in questo caso la prigione, imbracciando il proprio strumento, seguendo lo spartito comune: il tema.
Ciascuno suona, scrivendo, il tema. Poi , mentre il gruppo continua ad assicurare tempo e ritmo, ciascuno ha diritto al proprio “a solo”, con quelle che vengono comunemente chiamate “variazioni sul tema”. È il momento in cui l’individualità di ciascuno , senza uscire dal tema di fondo, evidenzia, sottolinea, puntualizza e specifica le proprie personali note che lo distinguono e lo diversificano dal resto del gruppo, pur argomentando sempre intorno al tema concordato.
Ed è proprio con questa impostazione jazzistica che ciascuno degli autori sta al tema a modo proprio.
Pasquale Doria investiga un investigatore-sciamano a sua insaputa. Un “ciarallo”, uno scacciatore di serpenti, l’ultimo del quale si abbiano notizie attraverso renitenti confidenze di un amabile e discreto studioso di cultura e tradizioni popolari. Una figura leggendaria che, disponendo dei requisiti misteriosi di una nidiata di sette figli maschi, partecipe dell’essenza del timo che cresce spontaneo sulla Murgia materana, può liberare dalla prigione della paura chiunque ne abbia bisogno. Più intensa la nota ironico-umoristica ne “la materialità del male” dove il carcere è alle spalle del protagonista, presunto terrorista scarcerato, non si sa perché.
Un racconto-monologo che rappresenta, con il ritmo del passato, una condizione presente e proiettata nel futuro. Si racconta con amarezza la vicenda dell’arresto di una improbabile cellula terroristica , inventata di sana pianta con prove risibili , per far giganteggiare i gruppi di potere che lacerandosi tra loro tengono in scacco il sud, e non solo...
Costantino Dilillo affronta il tema in tre diversi contesti: il primo è quello di una tragica evasione; l’altro è ambientato in un carcere-coppia che si dissolve surrealisticamente in un carcere-albero, e l’ultimo, tragicamente surreale, di un carcere-ospedale dove le note si mescolano con ritmi drammaticamente sarcastici.
Peppe Lomonaco articola la sua narrazione attraverso tre racconti che, nel riconoscibile contesto urbano di una piccola realtà del sud, ci fa assaporare il piacere della libertà attraverso il racconto di un’undicenne che si sottrae al lavoro di “serva” in una “grigia prigione ammobiliata” per approdare alla condizione di minorenne bracciante agricola, lieta di aver potuto esercitare la sua scelta. Il gusto della beffa e della derisione caratterizza l’assolo del racconto “La dote e la pistola” dove affiorano immagini di autentica comicità. Nel terzo racconto, non c’è narrazione ma un dialogo (“dialogo” è appunto il titolo del racconto) dove la condizione della prigione è rappresentata dal tormento provocato da una telefonata anonima di richiesta di “pizzo” ad una coppia di modesti bottegai.
Al trio di base si aggiungono ancora due nuovi solisti al concerto.
Nello Ertico fornisce quattro componimenti al concerto che stanno nel tema attraverso un diverso tipo di prigione : il labirinto. Un luogo dal quale non si esce se non con l’aiuto di un filo. Nel quintetto Nello Ertico svolge il ruolo della voce che riesce a stare insieme ai tre fiati (tromba, clarino e sax) evidenziati in precedenza.
La batteria la percuote Luisa Lapacciana con i suoi disegni che schematizzano figure composte di celle continue e contigue in forma triangolare.
Un concerto, ovviamente, non può essere descritto. Deve essere ascoltato ! Non si possono trasferire i piaceri delle note e delle armonie, perciò, l’unica cosa da fare è godersi la musicadi questo concerto jazz-narrativo.
Buona lettura.
Angelo Tataranno
Nessun commento:
Posta un commento