Fra amici, da tempo, teniamo dei forum sui temi del giorno.
Via e-mail.
Sì. Utilizziamo questo antiquato strumento elettronico che però sopperisce alla difficoltà oggettiva di incontrarsi di persona e in gruppo, essendo le aggregazioni culturali o politiche ormai desuete e non più funzionali alla gestione del consenso.
Scambio di e-mail con "rispondi a tutti".
A volte si tratta di brevi battute, brevi commenti, due righe a cui qualcuno replica; a volte si tratta del link di un qualche articolo o di post su questo blog o su Giornalemio.it.
A volte si tace.
A volte gli interventi sono più lunghi e il seguente è uno degli interventi meno brevi e decisamente interessanti su cui sarebbe auspicabile una riflessione e un (scusate la parolaccia di questi tempi politically uncorrect) un ... dibattito.
Matera... una città di cartone ?
Con astuta combinazione, nei giorni scorsi, si è annunziato,
in tutte le forme, che il giorno 19, alle ore 19,19, avrebbe avuto inizio la costruzione
di un monumento della città di Matera. Il tutto sarebbe avvenuto con forme di
cartone, che avrebbero funzionato da pietre da costruzione per lo più in forme
di parallelepipedo, in tutto simulanti gli antichi blocchi di tufo. Sarebbe
stato l’evento “numero uno” in riferimento al 2019, anno della proclamazione di
Matera a capitale europea della cultura. La costruzione, fatta con la ineludibile
collaborazione della cittadinanza, sarebbe stata “sfasciata” la sera
successiva. Naturalmente, quando si dice “cittadinanza”, si dice scuole di ogni
ordine e grado, cioè centinaia di studenti contenti di abbandonare i banchi, dove
avrebbero imparato un po’ di matematica, latino e greco, una volta considerati più
“culturali” che il trasporto di parallelepipedi di cartone. Però, da quando
Matera è Matera 2019, capitale della cultura, di questa si hanno e si danno
idee giocose, purtroppo non nel senso che all'aggettivo dava Giovanni Pico
della Mirandola. A me, invece, è venuto in mente che, nella tradizione culturale
della città di Matera, e nel suo più profondo senso antropologico, quando si
voleva dire di una persona che era un testone, ovvero una testa vuota, si diceva
“capo di cartone”.
Ovviamente, ancora una volta, tutto si sarebbe svolto in
forma di volontariato, quindi non pagato, tranne, ovviamente, che per l’artista e i suoi collaboratori venuti
da lontano.
Le cronache, magnificamente dirette da TRM e da RAI3
di Basilicata, hanno annunziato e precisato che la costruzione simboleggiava la
chiesa di San Pietro Barisano con campanile, alto, naturalmente, 19 metri. E
siccome il cartone è cartone, cioè è vuoto, fatta l’opera, si sarebbe presto
proceduto alla sua distruzione e alla sua “rottamazione
conservativa”: bella idea e bella espressione che a pochi, a Matera,
sarebbe venuta in mente. Qualche cafone materano, infatti, poteva pensare che lo
si sarebbe bruciato in piazza. Non è forse vero – ci hanno ricordato uomini
venuti da lontano – che Matera è la città in cui il carro della Bruna non viene
bruciato, ma semplicemente spogliato delle “figure” di cartapesta, poi
conservate? Insomma, ci hanno voluto far capire che a Matera la raccolta
differenziata è cominciata cinque-sei secoli fa. Di conseguenza, una volta “sfasciato” il campanile di cartone con chiesa, si sarebbe
preceduto alla conservazione di un pezzo esemplare, che, consegnato a Raffaele
Pentasuglia, sarebbe stato inglobato nel prossimo carro della Bruna. E poteva mai
mancare il Carro della Bruna? Raffaele Pentasuglia, per la cronaca, è anche l’autore
di un busto a Pascoli, da sei anni mai sistemato e giacente nella polvere chissà
dove.
Che cosa abbia prodotto questa ulteriore performance
ideata da menti illuminate, venute da lontano, non so. Abbiamo sentito che avrebbe
dato qualche ora di gioia ai materani, che, di fatto – abbiamo visto -, hanno
ballato in piazza, come a Rio de Janeiro e Cacao Meravigliao.
E vada. Il carnevale, a Matera, dura ormai da tre anni e più. Ed è un carnevale
costoso. Sulla scia del borbonismo tradizionale, siamo a festa, farina e forca
(cioè alti prezzi, multe e tariffe in progressione, spese pazze, salotti pubblici
“sempre più buoni” con fitti privati “sempre più alti”, periferie sempre più
abbandonate, caffè a Matera a 1 euro, ad Altamura a 80 centesimi…). Come se ciò
non bastasse, ora ci si mette pure la Giunta comunale, con un carnevale - si
dice - di 200.000 euro, in una città che non ha carnevale nella sua storia, tranne
la donna che si veste da uomo e l’uomo che si veste da donna. Che si vuole di
più?
Inconsapevolmente, scherzi freudiani, con la costruzione
in cartone, i suoi ideatori hanno prefigurato la città che ci lasceranno: una
città di cartone. Nessuno, infatti, sa dire che cosa di materiale e concreto,
in termini di strutture e infrastrutture, il 2019, in questi tre anni, ha
prodotto. Si canta e balla. Matera s’amuse. Intanto sussiste il cimitero della
Valbasento, langue la Ferrosud, emigrano i giovani e non giovani. All’anagrafe,
intanto, questi gli ultimi dati della popolazione di Matera 2019, nonostante le
immigrazioni dalla provincia e le immigrazioni extracomunitarie: 31 dicembre
2014: ab. 60.524; 31 dicembre 2015; ab. 60.436; 31 dicembre 2016:
ab. 60.351. In calo, comunque in calo
Ogni due settimane da Matera partono furgoni con
vettovaglie e aiuti, anche finanziari, ai materani emigrati, studenti e
lavoratori altrove. Sono beni e soldi che, sottratti ai genitori e ai nonni
degli emigrati, spogliano la città e vanno al nord. Mi viene una idea, una
piccola idea. Ma perché, al posto dei furgoni, non si usa il carro della Bruna?
Si risparmierebbero, se non altro, le spese di trasporto. E sarebbe una bella propaganda, a Matera
capitale della cultura 2019. Di cartapesta, naturalmente.
(Giovanni Caserta)
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A proposito di furgoni
e vettori che dalla Basilicata a Parma-Pisa-Milano-Sassuolo-Bologna-Europa, portano
su e giù i nostri figli e i nostri nipoti che - seguendo le orme dei nonni e dei
bis-bisnonni - tramandano ancora la antica usanza della emigrazione, il Prof. mi
segnala anche il seguente filmato comparso sul sito de La Repubblica di ieri.
La ricerca giovanile
dell’impiego, per una parte consistente del Paese, è divenuta uno status attorno al quale nascono originali iniziative
imprenditoriali e di servizio: come quella campana del filmato.
Viaggi della speranza e
ricerca di un impiego sono ormai una attività duratura e obbligatoria, una
specie di coscrizione, costosa e deludente che provoca risentimento sociale diffuso.
La frustrazione e il
risentimento scartavetrano fortemente la coesione della società e il senso
dello Stato e divengono brodo di coltura di populismi pronti a ogni deriva.
Ed è proprio quello di
cui l’Italia non ha bisogno.
(w/cody)*
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