L’indipendenza della
magistratura da altre forme di potere, in generale, e dall’esecutivo, in
particolare, è stata frequentemente sottoposta nell’Italia democratica a forti
tensioni e accesi contrasti, poi, di massima, rientrati con opportuni ed equilibrati
chiarimenti.
È oggetto di larga
attenzione proprio in questi giorni, sulla stampa e sui media, l’eccessiva e discutibile acredine con la quale viene proposta
la infervorata polemica che vede coinvolti, da una parte, i magistrati “con le
loro associazioni di categoria” a difesa dell’autonomia in nome della giustizia
e della libertà, e, dall’altra, esponenti di gruppi parlamentari e di
rappresentanti di alte cariche dello Stato, forti “a volte anche delle volontà
popolari”, spesso intransigenti e mal disposti nel valutare comportamenti e
strategie politiche confliggenti con gli ordinamenti espressi dal potere legislativo
e tutelati dalla Costituzione, che l’apparato giudiziario è tenuto a far
rispettare.
In questa opposizione di
poteri, indebolire una parte a vantaggio dell’altra comporta scompensi difficili
da recuperare nel delicato sistema di equilibri previsti dalla Costituzione, con
inevitabili ripercussioni sulla qualità ed integrità di quanti sono chiamati a
garantire un’equa distribuzione delle risorse dello Stato ed un sano e corretto
svolgimento delle mansioni quotidiane di ogni cittadino. Spesso, poi, i
comportamenti dei contendenti finiscono per essere inutilmente strumentalizzati.
Seppure in una diversa temperie
politica e ideologica, la Basilicata si dimostra terra contrassegnata nel
passato da solido impegno civile e irremovibile fedeltà ai principi di
giustizia e democrazia.
La storia ci ha consegnato
con i suoi intangibili documenti i rischi, l’oppressione, le drammatiche conseguenze
del Fascismo in Italia. La dittatura scoraggiò qualsiasi forma di dissenso alle
sue imposizioni, ma qualche magistrato, nostro corregionale, tenne la schiena
dritta e denunciò con grande coraggio malcostume, corruttela, inadempienze ed incapacità
del potere.
È opportuno ed esplicativo
riprendere un articolo del periodico “La Separazione” del 23 giugno 1923, di
seguito riportato, nel quale Pier Amato Perretta, magistrato insigne, nativo di
Laurenzana, esprimeva il suo punto di vista sul regime fascista e riassumeva il
ruolo e la figura del Duce con un appellativo, decisamente inconsueto per quel
personaggio e in quegli anni:
Il
viandante smarrito.
[…] Nessuno vuole preoccuparsi.
Tutti intendono avere almeno l’aria di divertirsi, come gli stenterelli che
portano a passeggio il loro appetito. Perciò la nostra voce è molesta. Diciamo
nettamente che si sta male e che presto si starà peggio, mentre gli scienziati
ufficiali si infervorano reciprocamente a trovare nuovi indici del benessere
economico. Intanto il Capo del Governo
preferisce parlare di Lorenzino dè Medici, anziché della lira perché questa -
se pure sarà coniata col fascio littorio – sarà sempre riluttante ai suoi
ordini e più docile verso il dollaro e la sterlina. La volontà di Benito
Mussolini, cadute le illusioni taumaturghiche, sfrondata dei ricordi demagocici
sull’importanza del castigo e del premio, si va esaurendo nelle gite, nelle
cerimonie e nei vaticini. Egli sembra un viandante smarrito che parli con se
stesso a voce alta, per avere il coraggio di proseguire. Non ha trovato nel
potere quello che non trovò nel suo desiderio di ribellione. Comprende la sua
impotenza, ma si ostina ad esaltare l’opera sua e dei suoi seguaci, come se dal
semplice ordine di polizia potesse scaturire l’ordine economico e finanziario. Sulla
crescente miseria italiana si leva qua e la il rumore dei banchetti di mille
coperti, in onore di qualche avventuriero, quasi a celebrare il preferito
lavoro delle ganasce. Gli innocenti plotoni dei balilla sgambettano perfino
nelle feste dello Statuto e si mischiano agli uomini d’arme, come nelle orde
barbariche; le mamme sorridono e temono solo di vederli tornare con i
calzoncini pieni. La lesina cincischia le magre carni dei servizi pubblici. La
popolazione di tutto il Paese aumenta ogni anno di mezzo milione, mentre si
ignora la quota di capitalizzazione. Nessuno si azzarda a fare il calcolo della
ricchezza nazionale per metterla a confronto degli 88 miliardi di debito
pubblico. L’impossibilità di emigrare aggrava lo squilibrio del Mezzogiorno ed
anche il Settentrione comincia ad allarmarsi del grave pericolo. La Confederazione
dell’industria … studia, ma vuole
prima “individuare le cause che ostacolano lo sviluppo industriale in quelle
regioni”, cioè confessa di ignorare quale sia il rimedio. Prima della guerra
l’impiego dei capitali stranieri, specie tedeschi aveva potentemente
contribuito ad irrobustire la nostra economia. Oggi, nonostante le leggi
allettatrici, dobbiamo provvedere più direttamente ai casi nostri, e non è
facile impresa, pur avendo fatto il bel gesto di autorizzare la sottoscrizione
in Italia di un prestito di duecento milioni all’Austria. È doveroso
constatare, senza alcuna ostilità, che finora il Capo del Governo non ha avuto
alcuna di queste intuizioni economiche che servano a valutare un uomo di Stato.
Si sono fatti da alcuni nei confronti
napoleonici, così come in Francia gli strilloni del re adoperavano l’olio di
ricino ed il catrame. Ma bisogna ricordarsi che a Napoleone I non sfuggì mai
l’importanza dei fatti economici e se ne occupò spesso personalmente, senza
delegare il compito ad un qualsiasi Rocco o ad un bravo De Stefani. Così volle
ed attuò, mentre era primo console, la
Banca di Francia e comprese la possibilità di fare di Anversa
un “entrepot” dell’Europa occidentale, incoraggiando i primi lavori per
migliorare il porto, approfondire i canali e sviluppare i magazzini. Sinora il
fascismo si può paragonare ad un servizio di carabinieri e di militi sulla
piazza di un mercato. È necessario non solo che i militi non vengano alle mani
fra loro, ma che il mercato si arricchisca di merci, si animi di contraenti;
altrimenti a sorvegliare il vuoto ed il silenzio, basta il custode dei cimiteri
a caroviveri ridotto. Occorre meditare ed agire, spronare tutta la volontà a
ricercare le cause del benessere del popolo e non accrescere il disagio con una
numerosa oligarchia di affamati. […]
Coinvolge e si definisce
come modello educativo il comportamento del giudice di Laurenzana, sia per i
privati cittadini che per coloro che sono gravati da impegno istituzionale o
svolgono un ruolo ufficiale. Sotto l’aspetto giudiziale, si sottolinea la
funzione inalienabile della magistratura per individuare colpe e responsabilità
e ristabilire una corretta condizione. Ma rifulge la qualità civile della
oggettività dei fatti e dell’equilibrio del loro inquadramento, non avulso, per
competenza di conoscenze e capacità di esprimerle, dal contesto di riferimento:
economia, politica, storia, tutto concorre alla formulazione del giudizio, che
si mostra attento e, quantomeno, rispettoso anche nei confronti del colpevole,
ritagliando una definizione che descrive l’incombenza degli eventi sul
Dittatore e la sua inabilità nel poterli e saperli affrontare.
A seguito di questo duro intervento contro
il Duce, il Guardiasigilli Rocco dispose il trasferimento di Perretta; fu la
prima di una lunga serie di rappresaglie, alle quali reagì con coraggio fino
all’ultimo istante di vita.
La città di Como, dove il Magistrato
Pier Amato Perretta trascorse gran parte della sua esistenza, con riconoscenza
ha dedicato una piazza e intitolato il Museo della Resistenza a lui “un uono in
difesa della libertà”
Gianni Maragnoleggi anche questohttps://w-cody.blogspot.com/2018/04/gianni-maragno-ricorda-il-magistrato.html
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