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sabato 7 dicembre 2013

lettera di un emigrato del secolo scorso

Per gentile concessione dell'amico 
Pasquale Di Pede detto  
Il Ciamba.
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Lettera di un Materano emigrato in Canada
Caro Comparo
Io da quanto sono nato quante cose sono successe, cascavo da sopra ai muli,cavalli, traini, alla guera quanto neabiamo passato. E parliamo della mia venuta qui tu ti ricordi mai parlavo di lasciare la mia famiglia, i miei amici per venire a fare questa vita, se io ero trovato un po di terreni che lavorave e poteva mangiare se era avute una partita da lente riforma, io avevo mio fratello della dimocrazia, o fatto guera e niente.
I riconoscimento, a tutti quelli che non era nemeno scritti airicoltori.
Adesso voliono che noi che stiamo allestera dobiamo venire a votare in Talia, che cosa ci interesa piu dopo tanti anni...  
Caro comparo io sono abbituato piu di te come tu sai io ho sofferto piu di te, la priggionia la venuta in Canada che è stato forse piu della priggionia, solo senza lavoro senza di qualcuno per sfocarti per cambiare, come facevamo con te che era vamo contento quanto ci vedevamo si diceva qualche chiacchierre e cene andavamo contento, qui nessuno e come noi, quest genti sono razisti si credono che noi che siamo emicranti siamo stubiti e pezzenti, tutti non ti comprende ,che loro non hanno passate queste cose, ma però a noi solo uno che ci capisce Dio che ci combrente che on abiamo fatto male a nessuno e crazzie a lui ci fa stare bene e io solo a lui mi rivolge che lui sa la vita che faccio che delli altri non li penzo piu... abraci di cuore dal tuo comparo che sempre ti pensa buone cose 
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Ente riforma, democrazia per dire la DC, reduce, prigioniero di guerra: questi indizi fanno datare la partenza per il Canada agli anni '50, quando il Mezzogiorno d'Italia venne depredato delle migliori risorse umane per fornire mano d'opera a basso costo alle industrie del nord Italia, dell'Europa e delle Americhe.
Provetti artigiani e contadini consapevoli del rapporto con la terra, vennero sradicati dal loro ambiente nel quale sapevano vivere e furono mandati alle catene di montaggio a compiere lavori alienanti.
Sradicando dal Mezzogiorno coloro che avrebbero potuto trasferire mestiere e competenze, condannarono queste terre all'altra alienazione, quella del non saper più fare.
Il dolore dell'emigrazione supera le sofferenze della prigionia, dice l'uomo consumato dalla nostalgia, nella sua lettera appassionata: qui ci considerano stupidi e pezzenti, solo perchè siamo migranti.
Il senso profondo di queste constatazioni esistenziali e insieme politiche deve accompagnarci sempre, quando emigriamo e quando ospitiamo migranti.

Sembra esserci un ricambio, ora nei flussi migratori, come nella dinamica dei liquidi; a quelli che continuano a partire si sostituiscono quelli che arrivano da paesi lontani. 
Italiani continuano a emigrare per trovare all'estero lavoro o migliori opportunità, e nell'Italia che invecchia e degrada sbarcano ogni giorno centinaia di migranti provenienti dalle aree più povere del mondo. Esportiamo cervelli e importiamo diseredati.
Non abbiamo molto da illuderci sulle sorti di quel che resta del nostro paese.





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