Di recente aprendo google dallo
smartphone mi viene proposto, come se fossero ricerche già effettuate, righe
informative di varia natura: campionati di calcio, ultimo disco di Tizio, nozze
tra Vip e altre simili amenità. Accertato che non io – mai – ho effettuato
ricerche su tali esiziali tematiche, ne consegue chiaramente che il citofono da
tasca mi sta “suggerendo” i temi di cui sarebbe opportuno io mi interessassi, a
somiglianza di tutti coloro, ben numerosi, che già si sono convinti essere
quelli – calcio, pettegolezzi sui Vip, porcherie sui politici, delitti morbosi,
incidenti sanguinosi – i loro più profondi e unici interessi. Per esempio in
una delle pagine del profilo google si propone all'utente di cercare gli
argomenti preferiti offrendo la prima scelta fra questi: Milan Calcio, Football
Internazionale, Napoli calcio, meteo, ecc. Preoccupato, il sistema, poi
domanda: Non vedi i tuoi argomenti preferiti? E quindi invita,
o meglio: ordina, con l’indicativo imperativo di ogni spot: “Segui
squadre sportive, band, celebrità, hobby” e di seguito apre una
schermata di temi opzionabili quali: Sport, TV, Cinema, Musicisti, Atleti,
Attori, Personaggi pubblici, Business. Hobby, Moda, Tendenze. In ultimo c’è
anche “Notizie e Politica” accanto a Tecnologie che è altra pubblicità di nuovi
apparecchi che proporranno di occuparsi di Sport, Vip, ecc. Cliccando notizie e
politica, si apre altra schermata con l’offerta delle preferenze. Africa, Asia,
Brexit, Clima, LGBT, Korea, ecc. Già: LGBT, tema opzionabile fra
meteo e pallaqqualcosa, così, in un click, oltre alle nostre
inclinazioni politiche vengono a conoscenza anche degli orientamenti sessuali.
Su certi modelli è preinstallata una APP di notizie che porta alle prime pagine
di alcuni quotidiani: scelti dal fabbricante che decide cosa l’utente debba
leggere e da quali testate. Su altri modelli è preinstallata la APP – manco a
dirlo – di squadre di calcio, materia del tutto obbligatoria nella società
civile, come il latino al liceo di una volta.
Duplice è l’effetto del
meccanismo: in primo luogo esso opera attentamente per massimizzare la
omologazione degli utenti intervenendo a fondo sulla coscienza e sulla identità
della persona: un pubblico assimilato e appiattito su interessi a basso
contenuto culturale consente risparmi di scala nella comunicazione
pubblicitaria.
In secondo luogo le procedure
acquisiscono e stipano informazioni complete su ciascun utente che – ben felice
di essere ridotto a “profilo” – fornisce spontaneamente nome, data di
nascita, telefono, mail, indirizzo, orientamenti culturali, politici,
religiosi, sessuali, e di consumo: l’analisi comparata di ogni ricerca
effettuata nel sistema consente di fotografare in modo completo la personalità
dell’utente, dal suo stato di salute al numero di scarpe.
Queste informazioni sui profili
sono la fonte dell’enorme arricchimento dei proprietari dei social perché
possono venderle a chiunque abbia prodotti da collocare in modo mirato a coloro
che ne abbiano manifestato più o meno esplicitamente il bisogno.
Il lavorio manipolatorio sulla
omologazione del pensiero e delle conoscenze e degli “interessi”, sfocia
direttamente sulla costruzione della identità. L’utente “nativo” di queste
tecnologie avrà consapevolezza di un sé disegnato secondo i canoni da altri
stabiliti, per cui dirà serenamente di se stesso: io sono un milanista, io sono
un “alfista”, non venendogli neanche in mente di essere un individuo pensante o
un cittadino e non il derivato di un prodotto commerciale. Chi sono io? E dirà
di sé: io sono quello che veste-prada, io sono quello che la politica è tutto
uno schifo, le donne sono tutte così, il sogno di tutta la mia vita è una BMW,
gli immigrati sono colà, la fortuna al gioco, e tante emoticon al posto dei
sentimenti, coltivando la convinzione di essere se stesso nella misura in cui
riesce a conformarsi al prototipo di utente medio portato a modello dai media.
Omologato ergo sum, nella marmellata sociale che Andrzej Stasiuk,
ha definito il “sottoproletariato dello spirito“.
Finanche emozioni e sentimenti cessano
di essere prodotti dal singolo; l’utente medio si limita a scegliere una delle
faccine che altri hanno creato per tutti sino alla atrofia dei sentimenti
personali sostituiti al nascere da faccine identiche a quelle degli altri, col
risultato di aver concezione solo di faccine senza più (o mai) la dimensione
delle immense capacità che la mente umana ha di sentire al di fuori di quelle
quattro proposte: rido, mi incazzo, lacrimuccia, mi sorprendo; altre “emozioni”
non sono date, ergo sono fuori corso, anzi: non esistono.
Nelle polemiche di finta politica
si parla dei social come portatori di fake news dimenticando che ai social non
interessa se una notizia sia vera o falsa, gli interessa solamente che faccia
sensazione per attrarre l’attenzione dei destinatari della pubblicità, né sono
interessati alle sorti dei popoli. Miliardi di utenti approcciano la realtà
attraverso la lente dei social e questo medio evo di ritorno vede ormai
strutture sovranazionali che hanno il governo reale del pianeta e ne determinano
le sorti tenendo gli abitanti in un paese dei balocchi pieno
di sogni, di calciatori e di faccine che augurano il buongiorno con tanti fiori
e tanti giga ogni mattina.
Gli Stati hanno rinunciato ad
essere i regolatori del mercato e anzi il mercato è divenuto il regolatore di
ogni cosa, secondo il folle schema liberista globale che dal 1989 arde in un
riesumato sistema feudale, mentre povertà, disoccupazione, inquinamento
irreversibile mietono vittime che nessuno più conta e a pochi passi tragedie immani
provocate dal sistema del “mercato regolatore” sfociano in guerre,
stermini, migrazioni di massa, genocidi, desertificazioni, rarefazione
dell’acqua. Temi che non ci sfiorano neppure o che al massimo ci fanno cliccare
una contrita faccina con la lacrimuccia d’ordinanza imparata dai TG.
Deriva globale che ciascuno
osserva nella impotenza della solitudine e nella incanutita e abdicante
speranza che le giovani generazioni (cioè qualcun altro) possano trovare
l’energia di ribellarsi alla conclamata dittatura del “mercato” e del profitto
senza limiti.
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