Poveri professori! di GIOVANNI CASERTA
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L’episodio di delinquenza (altro che
bullismo) ai danni del prof. dell’ITC di Lucca è solo l’ultimo di una lunga
serie. Sono atti di delinquenza esercitati dagli alunni, spesso spalleggiati
dai genitori, ma anche esercitati direttamente dai genitori. Non serve ripetere
le ragioni che hanno fatto della scuola il luogo dell’anarchia, da luogo di
rigidità e severità morale e legale, quale fu una volta. Bisogna correre ai
rimedi. Deve essere chiaro a tutti, in premessa, che non può esistere scuola
vera, che non sia seria, rigorosa, retta sul regime dei premi e dei castighi.
Purtroppo, una pedagogia e una psicologia lassiste, che vogliono tingersi di
sinistra ma ignorano Gramsci e Amendola, troppo fiduciose di una presunta bontà
di natura, hanno portato all’idoleggiamento di fanciulli e adolescenti,
ritenuti sempre degni di gratificazione o, comunque, di suprema tolleranza e
benevolenza, anche in presenza di veri e propri reati contro cose e persone. Al
massimo si parla di bullismo, cioè di pugni e violenze, morali e fisiche, fatte
per gioco!
Il fenomeno è troppo diffuso ormai, perché
possa essere ridotto a problema scolastico e pedagogico. Si parte dal 68, dal 6
garantito, dagli esami di gruppo. C’erano una volta il rinvio a settembre e la
bocciatura per profitto, o la bocciatura per il voto di condotta. C’era la
esclusione da tutte le scuole del Regno o della Repubblica. Poi arrivò la carta
dei diritti degli alunni ma non dei doveri. Invece ci fu una carta dei doveri
per i professori, ma non quella dei diritti. Arrivarono i decreti delegati, buoni
sulla carta, ma che suppongono spirito di collaborazione e non di
contestazione. E che dire delle chiassose e inutili assemblee d’istituto? Ci si
mise Il TAR… C’era una volta il capo d’istituto, istituto per istituto, ognuno
su misura per competenze ed esperienza, sempre presente, a garantire ordine ed
efficienza. Hanno inventato il dirigente, capo di più istituti dislocati a
distanze anche considerevoli, assolutamente diversi l’uno dall’altro, dalle
scuole materne ai Licei!
C’erano i genitori che si affidavano agli
insegnanti, chiedendo loro aiuto nella educazione dei figli. Ora l’insegnante è
il loro nemico e nemico dei loro figli. Ci fu don Milani che – senza
disconoscergli altri meriti e ben altro rispetto – si prefisse di fare il
pedagogista e discutere di didattica e sociologia, individuando nella
professoressa (e non nel professore, chissà perché) la controparte degli
alunni, iniqua e arcigna, dispensatrice di voti prima ancora che di sapere. Ne
fece il simbolo di una società classista, repressiva e autoritaria, buona con i
ricchi, cattiva con i poveri. Povera professoressa, spesso di umile estrazione
sociale, fattasi attraverso mille sacrifici e mille rinunzie, vivente ai limiti
della sopravvivenza economica! A meno che don Milani non ne volesse fare la
serva sciocca del potere.
Ed è questa, purtroppo, l’immagine
dominante della professoressa di oggi, sbattuta, trasferita, dileggiata,
abbandonata dal dirigente, dal provveditore e dal ministro senza laurea. E fa
malinconia, fra tante professoresse, in una scuola tragicamente femminilizzata,
un prof. di 64 anni, non meno debole di una qualunque
professoressa. Poteva reagire con una sberla o con un semplice
spintone, ma anche con un calcio negli stinchi. Gli opinionisti pontificanti
per televisione – quelli e quelle che si occupano di tutto - avrebbero detto
che aveva tradito il suo ruolo, che era un violento, che andava cacciato dalla
scuola, anzi ficcato dentro come è stato fatto tante volte con maestre d’asilo
e di scuole elementari, poi risultate innocenti.
Il prof. potrebbe bocciare. Ma c’è il TAR.
L’attuale ministro propone la risibile punizione della non ammissione dei bulli
agli scrutini. Ci sarà il TAR che, se non altro, immediatamente sospenderà la
sentenza. Poi si vedrà. A noi è capitato in un lontano passato, per un esame di
Stato. Il prof. poteva ricorrere al dirigente. Manfrina. Anche il
dirigente ha le mani legate e non ha voglia di crearsi fastidi. Poteva
ricorrere ai Carabinieri. Quante cose devono fare i Carabinieri! Ma come faceva
a tornare in classe il giorno dopo? E sarebbe stato esposto alle rappresaglie
delle famiglie. Rovinare così il futuro dei ragazzi! – si sarebbe detto! E si
sarebbe cacciato in un tunnel giudiziario che, considerati i tempi della
giustizia italiana, sarebbe andato al di là della durata della sua vita.
Vorrebbe solo andare in pensione. Ma glielo impedisce la Fornero. Allora?
Per tutte le cose dette, il problema è
vasto, perché è quello stesso di una Italia, nave senza nocchiere in gran
tempesta. Il problema è culturale, sociale, morale. Investe la crisi della
famiglia, l’organizzazione del lavoro, il nuovo ruolo della donna, la sfiducia
verso le istituzioni, la legge e l’autorità in genere, la tendenza a vedersela
direttamente… Ce lo si ficchi bene in testa. L’insegnante è uno che giudica. Le
famiglie e i genitori non sopportano persone che diano giudizi e prendano
provvedimenti per i loro figli, indirettamente giudicando il loro stesso
operato. Vogliono solo giudizi positivi. Come i poliziotti, come i carabinieri,
come i magistrati, gli insegnanti sono persone ormai odiate o spregiate. Le
offese loro arrecate, perciò, devono essere intese come offese a pubblici
ufficiali, tutori dell’ordine. I bulli di Lucca devono finire in casa di
correzione o in galera. Il prof. dev’essere risarcito per danni morali;
l’autorità scolastica - il Ministero – deve assumerne direttamente la difesa
presso gli organismi giudiziari; la signora che, in pigiama, unitamente al
marito, sfregiò il professore, non deve essere in libera circolazione. Non
tutti devono andare a scuola, se non lo meritano. Non è giusto che i pomodori
li debbano raccogliere solo gli immigrati dall’Africa, anche quando sono
laureati e più bravi dei nostri figli. Non è quella la integrazione di cui si
parla. La società ha rovinato la scuola; la scuola sta rovinando la società. Il
cerchio va spezzato.
(Giovanni Caserta)
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Passato è il tempo in cui i genitori dicevano: “provesso’
dallo, che noi a casa lo diamo, così si impara”.
Oggi riecheggia in ogni dove: “E CHI SEI TU?”, la URLATA domanda retorica che delegittima
alla radice ogni autorevolezza, in un malinteso e fuorviante “paritarismo”
che appiattisce ogni ruolo e se uno-vale-uno - come si ripete nelle
maggioranze emergenti - nessuno vale più di me e di mio figlio.
Il ’68 in questo andazzo del costume italico non
so se c’entri davvero; c’entra di sicuro la TV e il potere identitario sociale
degli oggetti di consumo - automobili per i padri, smartphone e zainetti
firmati per i pargoli - il cui possesso omologante rende pari e la
differenza che corre fra te e me, me la faccio da me con un bel pugno.
Non ci possono essere obiezioni su come lo Stato
debba (DEBBA) intervenire per scoraggiare
pesantemente questi comportamenti, con la espulsione di quei malnati da tutte
le scuole del Regno, come si faceva un tempo e con il carcere per i
padri pugilatori di prof.
Tocca sempre allo Stato, tuttavia, cancellare
nella scuola ogni forma di precariato il quale rende ricattabili e
deboli i docenti.
Va anche detto però che occorre rivisitare
completamente i criteri con cui nella scuola viene scelto il personale docente,
il quale non solo non deve essere precario, ma deve essere invece selezionato e
“formato” per svolgere quel ruolo, attraverso specifici corsi di qualificazione
alla “gestione” delle persone e del gruppo classe.
Non basta solamente vagliare la conoscenza della
disciplina che il prof dovrà insegnare; risulta indispensabile che si cominci a
valutare la sua attitudine comunicativa ad essere il perno di attività
formative e sociali in una scuola frequentata da ragazzi la cui
alfabetizzazione civica è la risultante fra il “divismo” cui la famiglia
li ha assuefatti e fra la socialità alterata di chi figlio unico vive sempre
fra adulti, chiuso in un appartamento e si confronta prevalentemente con
personaggi immaginari della TV e dei videogames per lo più violenti e
ultrapotenti e auto referenziati.
Va valutata e selezionata con accuratezza la
idoneità del docente a essere al centro di una scolaresca nella quale le
dinamiche di gruppo e di branco si manifestano con vigore pervasivo e con
virulenza, discernendo se ci sta nel prof il “polso” di saper dettare
regole certe di convivenza nell’aula e di saperle far rispettare con autorevolezza.
Se la scuola rinuncia a selezionare il suo personale, rinuncia di fatto al
ruolo che la società le affida.
E qui temo che gli epigoni italici del ’68
c’entrino in qualche maniera. Nato nelle università, il nostro ‘68, come
ribellione dei migliori studenti italiani che combattevano l’accademismo chiuso
e antiquato dei nostri Atenei, la sua lotta per il diritto allo studio finì,
negli anni 70 per essere la lotta per la promozione senza merito e per il 6 o
il 27 politico che ricorda Caserta; ricordo ancora le tante manifestazioni con
corteo e tazebao organizzate in quegli anni contro la famigerata “meritocrazia”; errore concettuale e
pragmatico che forse resta il perno fondamentale della approssimatività che
caratterizza il funzionamento del nostro Paese; ma quell’aspetto tutto italiano
del ’68 ha germogliato nel terreno fertilissimo delle clientele, delle assunzioni
elettoralistiche, nella gestione feudale dello Stato che concepiva
la scuola come il distributore del “pezzo di carta” per accedere “al
posto” fisso nella pletorica struttura cardinale del Paese.
Le continue riforme della scuola, negli ultimi
anni hanno contribuito pesantemente al degrado che si registra in questi
giorni; ogni governo ne ha voluta una; non sapendo né potendo metter mano alla
giustizia, alla corruzione, alle mafie, al ritardo scientifico e tecnologico,
all’arretratezza del capitalismo nazionale, alla devastazione del territorio,
le Gelmini d’Italia si buttavano sulla scuola con riforme che avevano,
all’evidenza, il risultato di abbattere la qualità della scuola pubblica
lasciandola alle classi subalterne, e favorire le scuole private, confessionali
o meno, che formano (quelle sì) il personale e formano infine i ricchi rampolli
della classe egemone.
È da queste paludi che la scuola – e l’Italia -
deve uscire.
Si tratta di ri-trovare la strada. Se ancore ne
esiste una.
Costantino
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Donato Lamacchia Attenzione pero' a non rischiare un moto di nostalgico ritorno al passato. Lo so non e' nell'intenzione di chi ha postato ma un rischio c'e'. Don Milani aveva ragione insieme con Gramsci. Mi chiedo quanto si è fatto per migliorare la didattica? Perché non si investe in classi di massimo quindici studenti, in sussidi didattici moderni che agevolino la comprensione di ciò' che si studia per migliorare il rapporto studente-insegnante? E' giusto pretendere meritocrazia, ma siamo sicuri che la strada, la televisione, internet non siano più efficaci ed efficienti della Scuola, che sappiano "attrarre" più dell'insegnante? Per il resto sono d'accordo, non si può immaginare la Scuola un'isola separata e felice dove non si riproducano i "mali" sociali, tra i più gravi il familismo, il qualunquismo. Se la risposta è il Preside "sceriffo" non ne usciamo.
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Donato Lamacchia Attenzione pero' a non rischiare un moto di nostalgico ritorno al passato. Lo so non e' nell'intenzione di chi ha postato ma un rischio c'e'. Don Milani aveva ragione insieme con Gramsci. Mi chiedo quanto si è fatto per migliorare la didattica? Perché non si investe in classi di massimo quindici studenti, in sussidi didattici moderni che agevolino la comprensione di ciò' che si studia per migliorare il rapporto studente-insegnante? E' giusto pretendere meritocrazia, ma siamo sicuri che la strada, la televisione, internet non siano più efficaci ed efficienti della Scuola, che sappiano "attrarre" più dell'insegnante? Per il resto sono d'accordo, non si può immaginare la Scuola un'isola separata e felice dove non si riproducano i "mali" sociali, tra i più gravi il familismo, il qualunquismo. Se la risposta è il Preside "sceriffo" non ne usciamo.
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