Finalmente si parla di un glorioso figlio della Basilicata, Pietro Amato Perretta, libertario coerente e
coraggioso magistrato che non volle mai piegarsi al fascismo del quale invece
denunciò pubblicamente la violenza, la corruzione, la responsabilità immensa
nel declinoi del Paese. Perseguitato dal regime e dai suoi servi, fu infine partigiano
e martire della Resistenza.
Si deve allo studioso Gianni Maragno, scrittore, autore fra l'altro del noto libro
"Il treno del bel canto: il
disastro di Grassano del 1888" la divulgazione in Basilicata
della storia del magistrato partigiano di origini lucane Pietro Amato
Perretta; Maragno ha tenuto incontri e conferenze sul tema in Basilicata e a
Como, città che ospitò per decenni Perretta e che gli ha intitolato una piazza del centro
storico.
---------
Per la prima volta,
quest'oggi, nella Basilicata si è provveduto ad onorare Pietro Amato Perretta, alias Pier Amato, il motivo non è dovuto alla
mancanza di memoria ma è da addebitarsi ad ignoranza, in quanto Pier Amato nato
a Laurenzana il 24 febbraio 1885 ben presto dovette spostarsi fuori regione e
con il tempo si è cancellato persino il di lui ricordo.
La sua famiglia aveva contribuito non poco alla fase risorgimentale, il padre prese parte alla insurrezione di Potenza del 1860 ed anche la madre proveniva da una famiglia molto attiva nella Carboneria, i cui componenti avevano subito carcere e persecuzioni.
Pier Amato nel 1906 a soli 21 anni si laureò a Napoli in Giurisprudenza, con il massimo dei voti e la lode, per poi vincere secondo in Italia il concorso per la magistratura ed essere destinato come uditore giudiziario presso la Corte d’appello di Napoli e successivamente alla Procura di Napoli come giudice aggiunto.
Nel 1910 sposa Gemma De Feo che gli regalerà la gioia di quattro figli: Lucio, Fortunato, Vittoria e Giusto.
Pier Amato si impegnò ben presto in favore della tutela dei diritti individuali, con un’impostazione culturale moderna e progressista; tra i suoi primissimi scritti le inadeguate tabelle ufficiali sull’alimentazione dei carcerati ed il regime detentivo della segregazione.
Il giovane Pier Amato maturò una concezione propria della libertà, come un giusto equilibrio tra fondamenti individualistici e solidaristici e condusse la propria esistenza in piena coerenza con tali concetti, anche quando ciò determinò conflitti con il pensiero dominante, fino a divenire egli stesso “Pier Amato” un baluardo di libertà ai tempi del Regime.
La sua strenua difesa in favore delle libertà lo portò di frequente a criticare l’operato del Governo soprattutto in tema di indipendenza e riforma della magistratura e sui temi della giustizia, impegno che dovette costargli molto caro tanto che dover subire un allontanamento da Locorotondo dove ricopriva il ruolo di Pretore, alla volta di Conselve e successivamente di Como, ma nonostante tutto il nostro rispondeva colpo su colpo alla complessa macchina governativa che non gradiva nessun tipo di ingerenza e contestava per illegittimi e inappropriati i comportamenti del giovane. Con molto candore Pier Amato faceva presente che la propria attività intellettuale, non violava alcun diritto e non mancava alcun dovere, svolta fuori delle proprie funzioni rientrava nei limiti di libertà di pensiero e di stampa consentiti dalla legge e dai regolamenti.
Il prestigio della Magistratura ed il sistema di equilibrio tra i poteri dello Stato, furono gli argomenti che Pier Amato espose nell’intervento al II Congresso della Magistratura tenutosi a Milano nel 1913, e che gli rese la notorietà di giovane capace e agguerrito e spinsero un altro lucano Vincenzo Torraca, direttore della rivista “La Magistratura” ad aprirgli le porte della redazione del giornale dei magistrati. Pier Amato accettò ed intraprese la collaborazione con entusiasmo.
Subito dopo il Congresso, Perretta venne eletto
nel Consiglio centrale dell’Associazione generale magistrati italiani con il
massimo dei voti dello scrutinio.
Partito in guerra il 1915 con il grado di sergente, rimase nei reparti combattenti fino al 1917 quando venne promosso tenente dei bersaglieri e destinato al Tribunale di guerra del XVI° corpo di armata, operante in Albania con sede in Valona, divenne Capitano nel 1918 e da maggio ad ottobre del 1919 operò presso il Tribunale militare marittimo di Napoli.
Nel febbraio del 1921 Perretta venne promosso a giudice e assegnato al tribunale di Como. Nella città lariana avviò collaborazioni giornalistiche con testate di area antifascista quali “Volontà”, che pubblicava scritti di Croce, Gobetti, Parri, Amendola, Calamandrei.
La sua libertà non ammetteva condizionamento alcuno e nei suoi scritti avanzava critiche severe sulla politica economica del governo Mussolini. Al Dittatore italiano era dedicato l’articolo “Il viandante smarrito”, nel quale lo si accomunava insieme al partito fascista, al ministro Rocco e alla Confederazione degli industriali nelle responsabilità per un paese che stava sprofondando in una deriva economica ed istituzionale irreversibile.
La risposta veemente del Ministro Rocco non si fece attendere e venne emesso un provvedimento per la rimozione del Magistrato da Como per altra sede. Perretta venne destinato (nonostante il criterio di inamovibilità dei magistrati, che poteva essere attuato esclusivamente nei casi di incompatibilità o menomato prestigio) a Lanciano. Il Perretta contestò la decisione del Ministro da un punto di vista formale e sostanziale, in quanto arbitrario e rifiutò di raggiungere la sede di destinazione, rimanendo a Como. Ma l’azione governativa non incontrava alcuna resistenza nell’addomesticato Consiglio superiore della magistratura che confermava il provvedimento, ma Perretta non accolse passivamente la decisione ed inoltrò ricorso al Re, con il quale specificava che in caso di conferma della punizione si sarebbe lasciato decadere da magistrato, e al contempo diffidava il Guardiasigilli Rocco.
Nonostante la situazione difficilissima, Pier Amato non si astenne nemmeno in questi frangenti nel ribadire alle autorità governative la sua indipendenza intellettuale e politica dichiarando: non sono fascista, né filofascista, e non vi è alcuna probabilità che lo diventi fino a quando durerà la lode e la tutela della violenza, fino a quando i nati della stessa terra si chiameranno “dominati” e “dominatori” e non già soltanto “fratelli”.
Fuori dalla magistratura Perretta si iscrisse all’albo degli avvocati di Como, esercitando nello studio del collega onorevole Angelo Noseda già Sindaco socialista di Como. Qui subiva ad opera fascista una intimidazione con messa a soqquadro dei locali e l’arresto con detenzione di cinque giorni, prima di essere nuovamente incarcerato e condotto nelle carceri di Potenza insieme a Don Primo Moiana.
Partito in guerra il 1915 con il grado di sergente, rimase nei reparti combattenti fino al 1917 quando venne promosso tenente dei bersaglieri e destinato al Tribunale di guerra del XVI° corpo di armata, operante in Albania con sede in Valona, divenne Capitano nel 1918 e da maggio ad ottobre del 1919 operò presso il Tribunale militare marittimo di Napoli.
Nel febbraio del 1921 Perretta venne promosso a giudice e assegnato al tribunale di Como. Nella città lariana avviò collaborazioni giornalistiche con testate di area antifascista quali “Volontà”, che pubblicava scritti di Croce, Gobetti, Parri, Amendola, Calamandrei.
La sua libertà non ammetteva condizionamento alcuno e nei suoi scritti avanzava critiche severe sulla politica economica del governo Mussolini. Al Dittatore italiano era dedicato l’articolo “Il viandante smarrito”, nel quale lo si accomunava insieme al partito fascista, al ministro Rocco e alla Confederazione degli industriali nelle responsabilità per un paese che stava sprofondando in una deriva economica ed istituzionale irreversibile.
La risposta veemente del Ministro Rocco non si fece attendere e venne emesso un provvedimento per la rimozione del Magistrato da Como per altra sede. Perretta venne destinato (nonostante il criterio di inamovibilità dei magistrati, che poteva essere attuato esclusivamente nei casi di incompatibilità o menomato prestigio) a Lanciano. Il Perretta contestò la decisione del Ministro da un punto di vista formale e sostanziale, in quanto arbitrario e rifiutò di raggiungere la sede di destinazione, rimanendo a Como. Ma l’azione governativa non incontrava alcuna resistenza nell’addomesticato Consiglio superiore della magistratura che confermava il provvedimento, ma Perretta non accolse passivamente la decisione ed inoltrò ricorso al Re, con il quale specificava che in caso di conferma della punizione si sarebbe lasciato decadere da magistrato, e al contempo diffidava il Guardiasigilli Rocco.
Nonostante la situazione difficilissima, Pier Amato non si astenne nemmeno in questi frangenti nel ribadire alle autorità governative la sua indipendenza intellettuale e politica dichiarando: non sono fascista, né filofascista, e non vi è alcuna probabilità che lo diventi fino a quando durerà la lode e la tutela della violenza, fino a quando i nati della stessa terra si chiameranno “dominati” e “dominatori” e non già soltanto “fratelli”.
Fuori dalla magistratura Perretta si iscrisse all’albo degli avvocati di Como, esercitando nello studio del collega onorevole Angelo Noseda già Sindaco socialista di Como. Qui subiva ad opera fascista una intimidazione con messa a soqquadro dei locali e l’arresto con detenzione di cinque giorni, prima di essere nuovamente incarcerato e condotto nelle carceri di Potenza insieme a Don Primo Moiana.
Seguiva nel gennaio del 1926 un provvedimento
della commissione reale degli avvocati di Como che con decreto sospendeva il
Perretta dall’albo, mentre perveniva il provvedimento di confino di polizia per la durata di due anni ed il Prefetto
Maggioni di Como, in considerazione delle misere condizioni economiche della
famiglia Perretta propose Laurenzana come dimora. Pier Amato trascorse un mese
nella sua Laurenzana, prima che il ricorso dallo stesso avanzato in quanto
padre di 4 figli in condizioni di forte disagio economico venisse accettato,
tramutando i 2 anni di confino a Laurenzana in 3 anni di domicilio coatto a
Como.
Gli anni ’30 furono molto difficili per Pier Amato che dovette subire molte violenze ed intimidazioni per le quali denunciò per abuso di potere il questore di Como. Gli anni ’40 furono funesti per la famiglia Perretta, il figlio Giusto venne fatto prigioniero dagli inglesi a Sidi el Barrani e per lunghi mesi i genitori non ricevettero sue notizie, nel 1942 invece sul fronte greco-albanese morì il figlio Fortunato.
Ma nemmeno queste avversità fiaccarono le volontà di Pier Amato che il 25 luglio del 1943 in occasione dell’arresto di Mussolini su ordine di Vittorio Emanuele incontrava i rappresentanti dei partiti antifascisti comaschi al fine di riorganizzare la vita pubblica con criteri democratici. Pier Amato era considerato l’emblema dei valori democratici e l’8 settembre dello stesso anno tenne in occasione di una manifestazione di operai un pubblico comizio nella Piazza Duomo di Como dove alla presenza di centinaia di persone con molto coraggio invitò la popolazione a recarsi in Prefettura e al Distretto Militare per chiedere la consegna delle armi, costituire la Guardia Nazionale e avviare la lotta contro fascisti e tedeschi.
Gli anni ’30 furono molto difficili per Pier Amato che dovette subire molte violenze ed intimidazioni per le quali denunciò per abuso di potere il questore di Como. Gli anni ’40 furono funesti per la famiglia Perretta, il figlio Giusto venne fatto prigioniero dagli inglesi a Sidi el Barrani e per lunghi mesi i genitori non ricevettero sue notizie, nel 1942 invece sul fronte greco-albanese morì il figlio Fortunato.
Ma nemmeno queste avversità fiaccarono le volontà di Pier Amato che il 25 luglio del 1943 in occasione dell’arresto di Mussolini su ordine di Vittorio Emanuele incontrava i rappresentanti dei partiti antifascisti comaschi al fine di riorganizzare la vita pubblica con criteri democratici. Pier Amato era considerato l’emblema dei valori democratici e l’8 settembre dello stesso anno tenne in occasione di una manifestazione di operai un pubblico comizio nella Piazza Duomo di Como dove alla presenza di centinaia di persone con molto coraggio invitò la popolazione a recarsi in Prefettura e al Distretto Militare per chiedere la consegna delle armi, costituire la Guardia Nazionale e avviare la lotta contro fascisti e tedeschi.
Dopodiché, postosi a capo del corteo si
recarono in Prefettura. Non ottennero nulla, ma i fascisti cominciarono una
spietata quanto infruttuosa caccia contro Perretta,
che fiutato il pericolo si era rifugiato prima a Cremona e poi in Toscana. Dal
febbraio del 1944 si trasferì a Milano dove svolse attività clandestina con lo pseudonimo di Amato. Instaurò rapporti
molto stretti con le avanguardie operaie
e maturò la scelta di iscriversi al partito
Comunista. Il suo incarico divenne quello di raccogliere e trasferire soldi
e materiali vari in favore della Resistenza
comasca e di reclutare uomini per combattere in montagna. Entrò a far parte
della Giunta militare che operava a stretto contatto con il Comitato militare di liberazione nazionale.
Ma la sua solerte ed intensa attività generò sospetti tra i
fascisti milanesi, la spiata di un comandante dei GAP lo consegnò nelle mani delle SS. La sera del 13 novembre 1944 i nazisti fecero irruzione nel rifugio di Perretta che saltò dalla finestra nel tentativo di sfuggire alla
cattura, ma venne raggiunto da una raffica di mitragliatore che lo ferì gravemente. Trasportato al Niguarda
rifiutò l’intervento che poteva salvargli la vita, si lasciò morire nel timore
di finire sotto le mani dei torturatori che gli avrebbero estorto informazioni
sui suoi compagni partigiani.
Spirò a
Milano la mattina del 15 dicembre 1944.
Alla sua morte i compagni di resistenza vollero intitolare a Perretta la Brigata garibaldina Gap-Sap di pianura. Anche la città di Como, nell’immediato dopoguerra volle onorare il suo sacrificio, tenendo solenni onoranze funebri, in precedenza non autorizzate dai fascisti e mutando il nome alla Piazza Italo Balbo in Piazza Pier Amato Perretta. Oggi la Piazza Perretta, dove persiste lo stabile della Banca d’Italia è una delle piazze più belle di Como, collocata nel salotto buono della città lariana tra la Piazza Cavour con affaccio sul lago e la bellissima Piazza Duomo.
Nel 1983 venne inaugurato sul lungo lago di Como il monumento alla resistenza europea che reca scolpita anche questa frase di Perretta:
“Questa tremenda esperienza avrà giovato a
qualcosa? S’impone una rieducazione profonda e costante, altrimenti nemmeno
questa lezione servirà”.
Nel dicembre del 1998, l’Istituto per la storia
del movimento di liberazione di Como, cambiava denominazione in Istituto di
storia contemporanea Pier Amato Perretta.
(Gianni Maragno)
Nessun commento:
Posta un commento