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venerdì 19 settembre 2014

industria italiana e globalizzazione - quasi un comizio

L’industria, per essere moderna deve innovare.
L’Italia è stata fra le maggiori potenze industriali del pianeta ma ora è in declino perché l’industria italiana non ha saputo mettere sul mercato prodotti nuovi e di qualità.
L’industria italiana ha campicchiato lucrando sulle ripetute svalutazioni della lira che governi compiacenti sfornavano periodicamente, riuscendo così a esportare prodotti mediocri ma a buon prezzo per gli acquirenti. Gli industriali si arricchivano, i politici si nutrivano e il conto della svalutazione lo pagava il Paese che doveva importare a caro prezzo. Ci fu un momento in cui i tedeschi venivano a comprare le Mercedes dai concessionari italiani, per pagarle meno, grazie al vantaggioso spread di valore del marco sulla lira.
L'industria italiana non ha investito in ricerca per prodotti al passo con gli standard globali e adesso, senza il giochino della svalutazione della lira, non esporta più e langue e i capannoni del mitico nord-est chiudono, i padroni si riposano fra immense ricchezze  - esportate e no - e i loro operai sono disoccupati mentre mezzo paese è alla soglia della povertà, se non sotto.
Prosperano oggi in Italia - oltre i compro oro - solo aziende che parassitando l’etere, guadagnano miliardi di euro facendosi pagare telefonate e SMS ai prezzi più alti del mondo.
Nella patria del buon cibo e della dieta mediterranea, dilagano i McDonald dei grassi saturi. Non vi sono industrie italiane che abbiano seriamente investito nel food. Quelle che c’erano, dopo decenni di assistenzialismo statale, hanno chiuso travolte dal magna-magna cedendo il mercato alle straniere e il Paese produce distribuisce e commercia cibo secondo il protezionismo unico della grande distribuzione che stabilisce cosa si coltiva, chi e dove coltiva e quando, chi vende, chi non vende e a che prezzo, chi deve chiudere e chi può sopravvivere, se accetta la schiavitù dei budget sui prodotti da collocare.

La FIAT di Marchionne, non avendo più dal governo italiano denaro, contributi e regalie, se ne è andata all'estero:
  • Dimenticando -  Marchionne e i governi - che l’Italia, i tributi alla FIAT li paga da oltre un secolo, costruendogli le fabbrica intere, asfaltando tutta la penisola, mortificando il trasporto pubblico così da costringere gli italiani a comprare l’automobile, azzerando il trasporto merci su treno e su nave per lasciare che i TIR impazzino in ogni anfratto del patrio suolo. La devastazione dell'intero territorio nell'esclusivo interesse di chi produce auto, pneumatici, asfalto, viadotti, tunnel, carburanti.
  • Dimenticando che per fargli vendere macchine che altrimenti non avrebbe venduto, l’Italia ha fatto leggi di rottamazione ogni tre passi e che adesso i rottami non sappiamo più dove metterli; le discariche sono a spese degli Italiani, ovviamente, non delle industrie produttrici. Per non parlare del credito agrario per acquisto macchine Fiat Geotech a spese delle nostre Regioni.
  • Dimenticando che se oggi esiste la zona industrializzata che qualche testavuota chiama Padania, è perché i governi italiani del dopoguerra procurarono mano d’opera a basso costo alla FIAT costringendo i popoli del Sud a emigrare verso Torino e il suo indotto e, nei fatti, distruggendo l'economia e il tessuto sociale di un Mezzogiorno che ora è finito nelle mani della malavita.  

Agli operai emigrati a Torino, prima gliele facevano costruire le FIAT 600 e poi gliele facevano comprare, a rate, le benedette FIAT 600, questo fu il boom economico, mentre nelle fabbriche i lavoratori venivano schedati in base alle loro idee politiche e sindacali; ai bei tempi, quando la polizia poteva anche sparare sugli scioperanti. 

Chi è responsabile di tutto questo?

La FIAT fu Stato nello Stato, con azioni politiche che condizionarono lo sviluppo democratico del Paese i cui governi erano chiamati a reprimere i diritti dei lavoratori per privilegiare la famelica avidità degli industriali.

Da anni la Confindustria e i suoi governi (oggi Renzi) ancora battono sullo stesso piano politico: per produrre di più occorre ridurre i diritti dei lavoratori: un teorema inspiegabile.

Se la FIAT in un secolo non è stata in grado di produrre modelli degni del mercato come le altre case automobilistiche, ma solamente macchinine come UNO, DUNA, RITMO, TIPO, MAREA, BRAVA che non se le compra nessuno in Europa, non ci possono convincere che è per via dell'articolo 18.

Se l'intero made in Italy è al flop per mancanza di prodotti credibili sui mercati globalizzati, la colpa non è dei lavoratori, che per giunta sono i peggio pagati di tutta Europa.

Il sistema industriale italiano ha da rivedere tutto, a partire dal suo top-mannaggement e non si può permettere di punire l’Italia che invece per un secolo è stata piegata ai suoi voleri da governanti asserviti che hanno deturpato il Paese fisicamente, socialmente e politicamente per compiacere la FIAT e la intera classe padronale.


   

2 commenti:

  1. Analisi incompleta…manca qualche M…come massoneria, mater ecclesiae e menefreghismo
    Una prece
    (franco M)

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