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lunedì 15 agosto 2016

battiti dead


Battiti laiv, traffico bloccato, polizia, vigili, carabinieri, corpi volontari, divise colorate, strade fitte di transenne e decibel sparati che ti massacrano gli ultimi neuroni.
Sul palco rianimatori da bar-dello-sporc-sotto-casa col microfono in mano e il carisma a menodue ché ne ha di più quello che lancia in aria piatti e pentole alla bruna, venga siòra che ci faccio lo sconto del risparmio, col microfono legato sotto la gola a gracchiare ammiccanti inviti alle massaie; ha più carisma quel venditore, ma lui non parla per radio, non ha la voce che ogni giorno esce dalle cuffie a spacciare propaganda di barberie, scarpe e salumi fra musichette d’accatto.
In piazza torme di giovani plaudenti, ormoni a mille e orizzonti orwelliani dispiegati. Quello al microfono dice "giù" e tutti vanno giù, poi dice "su" e tutti si alzano, poi dice a destra e tutti, come in preda a ipnosi collettiva, ormai resi avvezzi da anni di balli di gruppo, obbediscono e fanno tutto quello che il palco di luce suggerisce ordina e impone: andiamo tutti al parco giochi dello sponsor, c’è anche la ruota panoramica, volete andare sulla ruota panoramica? Vi voglio sentire: sììììììììì. E sulla ruota panoramica si va su e si va giù, facciamolo tutti insieme: giù e adesso su. Avanti!
Il Grande Fratello pensano sia, quelli dei microfoni e quelli nella piazza, una via per la carriera, la strada per la glorificazione del proprio nulla esaltato in quanto tale: Orwell? Chi è Orwell? Una birra?
In piedi, seduti! Saltate! E quelli saltano, si alzano, si siedono. Tutti insieme, le braccia in alto e quelli obbediscono, in massa, come un sol uomo, come una squadra addestrata da sempre; sono accorsi numerosi da tutta la città e dai paesi e dalle vacanze per esserci, da soli, o in gruppo, a volte le famiglie più indietro, col sorriso stampato sul volto e la mente ottusa dal volume a centomila e il dum-dum del rituale che offusca e conforta che accomuna e stringe i cuori e affratella a fa sentire forti, come in chiesa, come allo stadio, insieme, tutti uguali, soli, maledettamente soli, ma tutti con lo stesso vestito e lo stesso cuore la stessa fede la stessa obbedienza: un brivido. L’uomo nel microfono comanda, la luce dardeggia, lo stroboscopio esalta, e la folla obbedisce, univoca risponde.
Un giorno quello al microfono dirà "dagli al nero!". E quelli lo faranno. "A morte l'ebreo!". E quelli obbediranno. E' già successo. E succederà ancora. A breve.
Lo faranno all'unisono, come un sol uomo, indossando lo stesso giubbotto come una divisa bruna e lo stesso identico ginz strappato al ginocchio, e in mano la stessa birra, e lo stesso motorino parcheggiato in fila accanto a tutti gli altri uguali, quelli con lo stesso bracciale, con gli stessi capelli pittati, lo stesso uguale telefonino col quale si scambiano faccine disegnate da altri per fingere sentimenti decisi da altri, emozioni liofilizzate da altri, pensieri minimali masticati da altri; tutti insieme nel sudore e nel frastuono a cercare la propria identità nell’essere il più possibile come gli altri ché la diversità porta all’isolamento, all’anoressia, al suicidio.
Alienati, con la stessa identica luce vuota negli occhi e il cuore che vibra, la ragione che declina, il corpo che si tende verso il nuovo fascismo, quello che Pasolini vedeva già 50 anni fa, marciamo tutti insieme verso lo sponsor che ci chiama.



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