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domenica 12 marzo 2017

Pensioni


Da diversi anni le legislazioni europee in materia di pensioni vanno nella direzione di allontanare progressivamente il momento in cui i lavoratori potranno smettere di faticare per  tornare a essere proprietari del proprio tempo e dedicarsi a quel che resta della loro esistenza. L’orientamento è diffuso un po’ in tutti i paesi ma in Italia, con la Fornero e con quanto hanno in cantiere gli specialisti del governo, sembra che si abbiano le condizioni più svantaggiose per i lavoratori che a partire dal 2021 non potranno andare in pensione prima dei 67 anni ed entro il 2050 non prima dei 69 anni e mezzo. Non occorre dilungarsi su quale possa essere la vita spericolata che attende un lavoratore medio che ritorna “libero” dopo i 67 o 69 anni; negli anni di “libertà” per lo più assaporerà il vantaggio di non doversi assentare dal lavoro per andare a fare la fila negli studi medici delle ASL.
Si predica e si accetta, insomma, che il tempo liberato di chi per vivere ha da lavorare debba essere breve; si riafferma - una volta per tutte - che chi vive di lavoro debba vivere per lavorare sino allo stremo totale delle sue forze, dopodiché andarsene al più presto senza più incassare il grosso della pensione maturata. Proprio a ristabilire, nella globale controriforma in corso, che la esistenza delle persone lavoratrici, al contrario delle persone ricche, non ha nessun significato, i lavoratori sono comparse nel film di qualcun altro e tali devono restare, fungibili come candele del motore a scoppio: i lavoratori come pezzi di ricambio a basso costo.
Gli esperti del governo e dell’Europa spiegano che ciò avviene per le maggiori aspettative di vita che la modernità offre ai cittadini: una volta si moriva prima e quindi è giusto allungare il tempo lavorativo fino a quasi 70 anni.
E ciò, ci spiegano, è necessario in quanto il sistema di previdenza sociale non può reggere tempi lunghi di sopravvivenza né la pubblica opinione può tollerarlo.
Lavorare tutta la vita e poi levarsi di mezzo in fretta, questo il ruolo. Deprimente è che questo ragionamento improntato al peggior cinismo capitalista dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sembra a vari livelli incredibilmente condiviso da tanta opinione pubblica.
L’INPS non ha le risorse per pagare pensioni così lunghe, si dice e si accetta come dogma rinunciando a porsi domande sulle ragioni per cui l’INPS non abbia abbastanza risorse, vista l’esosità della vigente contribuzione previdenziale. 
Se l’INPS non ha soldi, vuol dire che ne entrano troppo pochi, non che ne escono troppi e vuol dire anche che troppi ne escono per ragioni diverse dal ripagare la pensione a chi ha lavorato tutta la vita.
Si è creata artificialmente una contrapposizione demenziale fra nuove e vecchie generazioni che distrae dal vero avversario comune.
E viene da pensare che queste nuove generazioni senza diritti sono anche privi di rappresentanza sociale.
I sindacati dei lavoratori e i partiti della sinistra che nacquero come espressione delle classi lavoratrici :
·       *  avrebbero dovuto impedire che INPS e INPDAP cedessero a prezzi stracciatissimi (agli amici degli amici) l’immenso patrimonio immobiliare acquisito con i contributi dei lavoratori, impoverendo di fatto gli enti previdenziali in favore di business miliardari. Perché hanno taciuto tutti? In qualche caso lo sappiamo il perché, ma gli altri?
      * dovrebbero denunciare che con tutti gli immobili di proprietà pubblica esistenti sul territorio, INPS vada spesso a occupare locali in affitto di proprietà di privati (al pari di tanti, troppi enti pubblici);
     * dovrebbero militarmente combattere il lavoro NERO in ogni sua manifestazione, denunciando, ogni situazione anomala;
     dovrebbero combattere e denunciare gli abusi in materia pensionistica e di finta invalidità;
     * dovrebbero ogni giorno vigilare e denunciare quelle figure istituzionali deputate ai controlli che dovessero … “distrarsi” dai loro compiti ispettivi.

dovrebbero … 



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